Continuiamo a raccontare le diverse posizioni che circolano a sinistra.Con la speranza di dare un contributo di pluralità ma anche per confermare la necessità di un salto culturale e politico che si impone ma che ancora non si intravede. Originale la posizione di Sfefano Fassina, fondatore dell’Associazione Patria e Costituzione che ha rilasciato una intervista a Daniela Preziosi per il quotidiano Il Manifesto del 26 giugno 2019.
“Stefano Fassina, con la sua Patria e Costituzione e Senso comune lanciate una scuola di politica, dal 6 all’8 settembre, a Frattocchie il mitico luogo della formazione Pci. Per nostalgia?
Fuori da ogni nostalgia, è un riferimento a un soggetto politico che parte dalla formazione delle classi dirigenti. Ormai siamo abituati a improvvisazioni elettorali che puntualmente vanno male. Noi partiamo dalla cultura politica che, come ricordava Alfredo Reichlin, è la precondizione di un partito.
Volete fondare un altro partito?
Abbiamo l’ambizione di costruire un soggetto politico che valuterà se e come stare sul terreno elettorale. Ma partendo dalle premesse. Non ripeteremo esperienze dell’1 per cento. Ma il contesto è in divenire.
Siete l’ennesima frazione della sinistra?
No. Siamo un movimento politico. Lanceremo in tesseramento l’ultimo giorno della scuola. Con l’obiettivo di rivolgersi fuori dal perimetro sociale nel quale tutte le sinistre, moderate o radicali, si sono rinchiuse.
Siete la «sinistra sovranista»? E con questa domanda mi offro agli attacchi dei suoi follower.
Mettiamo al centro la sovranità costituzionale. Sovranismo è il termine spregiativo utilizzato da chi non vuole riconoscere che c’è una domanda di comunità. Che non vuol dire necessariamente regressione nazionalista, xenofobia, autarchia. È una domanda di protezione sociale, identitaria, a cui si può rispondere in modo progressivo a partire dalla Costituzione.
Ma usate alcune parole con cui i nazionalisti costruiscono la loro egemonia culturale.
Patria non è una parola della destra. «Sovranità» neanche. Consiglio il libro di Carlo Galli, che è presidente della fondazione Gramsci dell’Emilia Romagna. La degenerazione post sessantottina e la cultura «no border» ha fatto smarrire i fondamentali.